Pensieri negativi e un tenue raggio luminoso
Che dire.
Intanto scrivo in italiano, perchè mi accorgo che ne sono sempre meno capace. Mi sfugge, mi scivola dalle dita, le parole si nascondono in angoli bui, non le riesco a trovare. E allora, una nervosa ricerca tra lo scaffale di libri in italiano, in biblioteca, e la lettura quotidiana del Corriere, e poi aggiornare il mio diario, quasi quotidianamente. E' tempo di ricominciare a tenere un diario cartaceo, vecchio stile, sempre con me. Lo facevo a Hull, e a Swansea, perchè non qui, dunque?
Poi, fatica. Tanta fatica, tante lacrime, tanti pensieri. Non è facile.
Sarebbe facile lasciare tutto, tornare a casa, tra il conforto di paesaggi familiari, tranquilli, le mie montagne, il lago, i prati; la mia casa, il mio letto comodo, il pavimento e i tappeti su cui camminare a piedi nudi, la cucina grande e pulita, la doccia comoda, le passeggiate in paese. Parlare senza doversi concentrare troppo, ascoltare e capire senza sforzo, senza dover chiedere di ripetere. Cantare a voce alta, suonare il mio sax, uscire per locali senza sentirsi circondata da stranieri minacciosi, girare per le strade senza paura, senza quest'ansia alla vista di adolescenti, o addirittura bambini, che ti possano chiedere o dire qualcosa a cui non sapra rispondere, confusa da accenti o parole mai sentite. Vivere nella comodità di casa, dove è tutto gratis, e non ci si deve preoccupare di affitti, e bollette, e tutto il resto. Dove la sera è un lento scandire di ore silenziose e tranquille prima di andare a dormire, senza paura che qualcuno arrivi a casa e sbatta le porte, facendo tremare la casa con un passo pesante tra le stanze, chiamandosi l'un l'altro come da un continente all'altro. Arrivare a casa dopo una lunga giornata di lavoro senza dover pregare di non vedere la macchina di qualcuno, o sentire voci in giardino che annunciano battaglie d'acqua in giardino, e casino, e tutto il resto. Vivere tranquillamente, in sostanza, senza tutte queste preoccupazioni. Avere un conto in banca che non scende così vertiginosamente, che permette di uscire a cena, o anche solo di prendere il bus in una giornata piovosa, invece di combattere con gli elementi, camminare controvento, passare mezz'ora in bagno ad asciugarsi e spendere il resto della giornata con i piedi fradici, un grande sorriso con gli studenti, come se nulla fosse.
Sarebbe facile, e a volte mi dico che potrei farlo, davvero. Tornare a casa, dalla mamma, renderla felice, invece che sentirla depressa, lamentarsi al telefono ogni volta che mi chiama, accusarmi di tante cose, di essere finita qui senza un perchè, per un colpo di testa, di aver abbandonato tante cose, tanti progetti, tante idee in cui pensavo di credere e che ho lasciato così, senza pensarci, senza nemmeno pentirmene.
Guardandomi indietro, non rinnego nè mi pento di ciò che ho fatto, pur riconoscendo che è stato frettoloso, e ha fatto tanto male, a tutti. Programmato superficialmente, ed esposto all'imprevedibilità. Ci ripenso spesso, mi tormenta, i ricordi di tutti quei mesi disperati, freddi, bui, senza futuro. Il dramma, restare o tornare, sapendo che in qualunque caso non avrei riavuto il mio cuore, non avrei sentito altro che dolore sordo. A volte lo sento ancora, ripensandoci, rivivendo momenti che vorrei dimenticare.
Vivo nell'angoscia che tutto questo non durerà, che sarò di nuovo abbandonata, e tornare, restare, niente avrà più senso. Già ora la paura mi fa dimenticare la gioia che sto vivendo.
Ironicamente, dovrei farmi lo stesso discorso che faccio al mio piccolino: siamo in due ora, non si può programmare nulla, prevedere nulla, vivere il presente e come va, va. Inutile pensare al futuro, a quando sopraggiungeranno difficoltà e litigi, tanto le difficoltà le stiamo già vivendo, come mancanza di soldi, poco tempo, nervosismo da lavoro e seminari, paura del futuro e dell'ignoto, nuove sensazioni che non riusciamo a catalogare, e che per questo finiscono sullo scaffale dell' "essere in una relazione". Impariamo a gestirle lentamente, abbracciandoci forte, parlando tanto, a volte semplicemente restando sdraiati sull'erba di fronte al Pavilion e tenendoci per mano.
A volte penso che non ne vale la pena: ho troppa paura, e sto vivendo male, preoccupata per il mio magro stipendio e gli affitti troppo alti, per la forzata convivenza con persone nuove quando la mia timidezza, e la mia misantropia mi vorrebbero solitaria e silenziosa, specie alla fine di una giornata caotica in centro, e circondata da studenti, colleghi, macchine, persone.
Poi arriva il suo messaggio di buonanotte, dolce e tenero; un messaggio di prima mattina, pieno di affetto; una telefonata premurosa, per parlare un pò, per sapere come sto, nonostante il reciproco imbarazzo di fronte a conversazioni telefoniche. Poi arriva un incontro non programmato, una serata insieme per non cadere nella routine, un pomeriggio tranquillo di coccole e musica, un pacchetto di biscotti inaspettato, un peluche dopo una settimana di lontananza forzata. Piccole cose che non ho mai avuto in vita mia, e che arrivano da una persona stupenda, complicata, difficile come me, uguale a me, stessi valori, stesse idee, solo ancora più difficile da gestire, che si preoccupa che io sia preoccupata, che si domanda se non sarei più felice con una persona della mia stessa nazionalità, che vorrebbe farmi sentire più sicura, che teme di avermi portato via ai miei amici, alla mia famiglia.
Nulla è facile, in questa vita. Avrei dovuto saperlo, no, considerato tutto quello che ho vissuto finora, in quasi trent'anni. Eppure sono ottimista di natura, anche se ultimamente faccio veramente fatica: non posso fare a meno che insieme siamo felici, stiamo bene, e che stiamo costruendo qualcosa, lentamente, faticosamente dati i nostri caratteri così complicati e seri, ma non posso che essere grata per ogni giorno passato insieme. Per aver trovato questo miracolo, che mi permette finalmente di amare liberamente, e ancora più miracolosamente, di essere amata.
Me lo devo ripetere, che ne vale la pena, che questo dolore e nostalgia sono il prezzo da pagare per il nostro stare insieme, per qualcosa di meraviglioso che stiamo costruendo, e che devo solo aver pazienza.
Mi faranno santa della pazienza, mi sa. Ogni giorno che passa mi rendo conto che ne ho una nuova scorta, pronta e fresca da usare, per sopportare il vento, le lezioni pianificate che vanno a rotoli per mancanza di studenti, i colleghi che cambiano i piani a caso, i dieci chilometri a piedi, i piatti da lavare nel lavandino, le porte che sbattono, la ricerca di un nuovo alloggio, le settimane che mi separano dalla prossima busta paga, la voglia di tornare a casa, la stanchezza, la stanchezza, la stanchezza.
Sono proprio stanca.
Ma si continua.
Intanto scrivo in italiano, perchè mi accorgo che ne sono sempre meno capace. Mi sfugge, mi scivola dalle dita, le parole si nascondono in angoli bui, non le riesco a trovare. E allora, una nervosa ricerca tra lo scaffale di libri in italiano, in biblioteca, e la lettura quotidiana del Corriere, e poi aggiornare il mio diario, quasi quotidianamente. E' tempo di ricominciare a tenere un diario cartaceo, vecchio stile, sempre con me. Lo facevo a Hull, e a Swansea, perchè non qui, dunque?
Poi, fatica. Tanta fatica, tante lacrime, tanti pensieri. Non è facile.
Sarebbe facile lasciare tutto, tornare a casa, tra il conforto di paesaggi familiari, tranquilli, le mie montagne, il lago, i prati; la mia casa, il mio letto comodo, il pavimento e i tappeti su cui camminare a piedi nudi, la cucina grande e pulita, la doccia comoda, le passeggiate in paese. Parlare senza doversi concentrare troppo, ascoltare e capire senza sforzo, senza dover chiedere di ripetere. Cantare a voce alta, suonare il mio sax, uscire per locali senza sentirsi circondata da stranieri minacciosi, girare per le strade senza paura, senza quest'ansia alla vista di adolescenti, o addirittura bambini, che ti possano chiedere o dire qualcosa a cui non sapra rispondere, confusa da accenti o parole mai sentite. Vivere nella comodità di casa, dove è tutto gratis, e non ci si deve preoccupare di affitti, e bollette, e tutto il resto. Dove la sera è un lento scandire di ore silenziose e tranquille prima di andare a dormire, senza paura che qualcuno arrivi a casa e sbatta le porte, facendo tremare la casa con un passo pesante tra le stanze, chiamandosi l'un l'altro come da un continente all'altro. Arrivare a casa dopo una lunga giornata di lavoro senza dover pregare di non vedere la macchina di qualcuno, o sentire voci in giardino che annunciano battaglie d'acqua in giardino, e casino, e tutto il resto. Vivere tranquillamente, in sostanza, senza tutte queste preoccupazioni. Avere un conto in banca che non scende così vertiginosamente, che permette di uscire a cena, o anche solo di prendere il bus in una giornata piovosa, invece di combattere con gli elementi, camminare controvento, passare mezz'ora in bagno ad asciugarsi e spendere il resto della giornata con i piedi fradici, un grande sorriso con gli studenti, come se nulla fosse.
Sarebbe facile, e a volte mi dico che potrei farlo, davvero. Tornare a casa, dalla mamma, renderla felice, invece che sentirla depressa, lamentarsi al telefono ogni volta che mi chiama, accusarmi di tante cose, di essere finita qui senza un perchè, per un colpo di testa, di aver abbandonato tante cose, tanti progetti, tante idee in cui pensavo di credere e che ho lasciato così, senza pensarci, senza nemmeno pentirmene.
Guardandomi indietro, non rinnego nè mi pento di ciò che ho fatto, pur riconoscendo che è stato frettoloso, e ha fatto tanto male, a tutti. Programmato superficialmente, ed esposto all'imprevedibilità. Ci ripenso spesso, mi tormenta, i ricordi di tutti quei mesi disperati, freddi, bui, senza futuro. Il dramma, restare o tornare, sapendo che in qualunque caso non avrei riavuto il mio cuore, non avrei sentito altro che dolore sordo. A volte lo sento ancora, ripensandoci, rivivendo momenti che vorrei dimenticare.
Vivo nell'angoscia che tutto questo non durerà, che sarò di nuovo abbandonata, e tornare, restare, niente avrà più senso. Già ora la paura mi fa dimenticare la gioia che sto vivendo.
Ironicamente, dovrei farmi lo stesso discorso che faccio al mio piccolino: siamo in due ora, non si può programmare nulla, prevedere nulla, vivere il presente e come va, va. Inutile pensare al futuro, a quando sopraggiungeranno difficoltà e litigi, tanto le difficoltà le stiamo già vivendo, come mancanza di soldi, poco tempo, nervosismo da lavoro e seminari, paura del futuro e dell'ignoto, nuove sensazioni che non riusciamo a catalogare, e che per questo finiscono sullo scaffale dell' "essere in una relazione". Impariamo a gestirle lentamente, abbracciandoci forte, parlando tanto, a volte semplicemente restando sdraiati sull'erba di fronte al Pavilion e tenendoci per mano.
A volte penso che non ne vale la pena: ho troppa paura, e sto vivendo male, preoccupata per il mio magro stipendio e gli affitti troppo alti, per la forzata convivenza con persone nuove quando la mia timidezza, e la mia misantropia mi vorrebbero solitaria e silenziosa, specie alla fine di una giornata caotica in centro, e circondata da studenti, colleghi, macchine, persone.
Poi arriva il suo messaggio di buonanotte, dolce e tenero; un messaggio di prima mattina, pieno di affetto; una telefonata premurosa, per parlare un pò, per sapere come sto, nonostante il reciproco imbarazzo di fronte a conversazioni telefoniche. Poi arriva un incontro non programmato, una serata insieme per non cadere nella routine, un pomeriggio tranquillo di coccole e musica, un pacchetto di biscotti inaspettato, un peluche dopo una settimana di lontananza forzata. Piccole cose che non ho mai avuto in vita mia, e che arrivano da una persona stupenda, complicata, difficile come me, uguale a me, stessi valori, stesse idee, solo ancora più difficile da gestire, che si preoccupa che io sia preoccupata, che si domanda se non sarei più felice con una persona della mia stessa nazionalità, che vorrebbe farmi sentire più sicura, che teme di avermi portato via ai miei amici, alla mia famiglia.
Nulla è facile, in questa vita. Avrei dovuto saperlo, no, considerato tutto quello che ho vissuto finora, in quasi trent'anni. Eppure sono ottimista di natura, anche se ultimamente faccio veramente fatica: non posso fare a meno che insieme siamo felici, stiamo bene, e che stiamo costruendo qualcosa, lentamente, faticosamente dati i nostri caratteri così complicati e seri, ma non posso che essere grata per ogni giorno passato insieme. Per aver trovato questo miracolo, che mi permette finalmente di amare liberamente, e ancora più miracolosamente, di essere amata.
Me lo devo ripetere, che ne vale la pena, che questo dolore e nostalgia sono il prezzo da pagare per il nostro stare insieme, per qualcosa di meraviglioso che stiamo costruendo, e che devo solo aver pazienza.
Mi faranno santa della pazienza, mi sa. Ogni giorno che passa mi rendo conto che ne ho una nuova scorta, pronta e fresca da usare, per sopportare il vento, le lezioni pianificate che vanno a rotoli per mancanza di studenti, i colleghi che cambiano i piani a caso, i dieci chilometri a piedi, i piatti da lavare nel lavandino, le porte che sbattono, la ricerca di un nuovo alloggio, le settimane che mi separano dalla prossima busta paga, la voglia di tornare a casa, la stanchezza, la stanchezza, la stanchezza.
Sono proprio stanca.
Ma si continua.
Labels: depression, Love, the usual chaos
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